Articolo di Chiara Babetto
Viene spesso sottolineato come le festività rappresentino momenti in cui la segregazione e la separazione dai propri cari si fanno più vivide e insopportabili, per coloro che sono costretti a viverle in condizione di detenzione.
Se mai come in questi giorni la popolazione “libera” può tristemente comprendere cosa possa significare la lontananza dai propri familiari e amici, l’impossibilità di raggiungerli e abbracciarli, la paura per la propria salute e per le persone vicine, in carcere gli strumenti per arginare la consapevolezza della propria vulnerabilità rispetto al morbo, sono di gran lunga minori.
Gli istituti penitenziari del nostro Paese, infatti, non permettono condizioni sanitarie sicure rispetto ai rischi della pandemia, il sovraffollamento non rende possibile separare adeguatamente coloro che presentano sintomi, ma nemmeno le persone che giungono dall’esterno. Questo, nonostante la popolazione penitenziaria sia scesa di ben 5000 unità rispetto alla fine di febbraio. E tuttavia, con poco meno di 56.000 persone attualmente detenute, siamo ancora al di sopra della capienza regolamentare di ben 6000 unità: 6000 persone in più che i nostri istituti non potrebbero contenere.
Tale condizione di pericolo è condivisa con gli operatori (personale sanitario, membri della polizia penitenziaria, personale educativo, direttori, …) che continuano a svolgere il proprio lavoro nelle strutture detentive, accumunati dagli stessi rischi e dalle medesime paure di coloro che vi sono reclusi.
In un momento in cui le attività trattamentali sono per la maggior parte sospese, non potendo consentire gli ingressi ai volontari e agli operatori esterni che normalmente le portano avanti, la vita delle persone recluse rischia di essere ancora più difficile e di sfociare in disperazione o rabbia.
Per questo è sicuramente importante guardare a quegli istituti che in questo momento drammatico stanno cercando di trovare soluzioni nuove per valicare quelle mura apparentemente ancora più alte, riscoprendosi comunità solidale, responsabile della salute interna ed esterna.
Anche dalla Toscana ci giungono esempi di grande capacità di adattamento, di valorizzazione delle risorse, di coesione, che possono essere da stimolo per altre realtà; nella speranza che quanto messo in campo di fronte all’emergenza possa continuare anche con l’attenuarsi della stessa, apportando innovazione e buone pratiche integrabili con le attività quotidiane delle strutture.
Buone pratiche, per valicare le mura
Nella Casa di Reclusione di Volterra, ad esempio, il contatto con le organizzazioni che ne animavano la quotidianità prima delle misure di contenimento del Coronavirus, viene coltivato e rinnovato attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Il coordinamento e il confronto quotidiano non sono stati, infatti, interrotti e la Direzione ci riporta come le diverse realtà proseguano nel sostenere la vita interna dell’istituto, anche senza poterci entrare fisicamente. Se la prosecuzione delle attività scolastiche, soprattutto per coloro che si trovano in procinto di sostenere esami importanti come la maturità, viene garantita attraverso Skype, l’istituto ne sta estendendo l’utilizzo anche ad un’attività significativa come quella della Compagnia della Fortezza, che da più di trent’anni realizza produzioni teatrali famose in Italia e all’estero.
Sempre utilizzando Skype, nella Casa Circondariale di Livorno e nella sezione distaccata di Gorgona, è stato possibile organizzare la rassegna “Per un’ora d’autore”, promossa da Dire Fare Cambiare in collaborazione con Earth Day Italia, che prevede un incontro a settimana tra artisti e detenuti dove vengono sollecitati dialogo e riflessioni congiunte sul valore della scrittura, della lettura e della recitazione. Tale iniziativa trova ispirazione nel Manifesto per la Cultura Bene Comune e Sostenibile promosso dall’Associazione Chiave di Svolta e consolida la volontà degli istituti di continuare ad essere parte attiva di un movimento più ampio di promozione e diffusione della cultura che si spinge ben oltre le limitazioni spaziali.
Appare, infatti, fondamentale contrastare l’ulteriore isolamento in cui gli istituti penali, con le persone che vi vivono e lavorano, rischiano di subire in questo momento, in cui anche chi lavorava all’esterno in articolo 21 è costretto a rimanere in istituto e le attività e le persone che le animavano rischiano di rimanerne fuori.
Per questo le numerose iniziative portate avanti dalle direzioni e dalle persone detenute per offrire il proprio contributo alla collettività sono da valorizzare proprio perché rinnovano l’appartenenza alla medesima comunità e garantiscono lo scambio tra dentro fuori. Tra questi ricordiamo le raccolte fondi organizzate dai detenuti di Volterra a favore della Protezione Civile, e dalle persone recluse nella casa circondariale di Livorno per l’Ospedale della città, nonché la raccolta di generi alimentari prodotti sull’Isola di Gorgona dalle persone lì detenute e donati a Caritas e comunità di Sant’Egidio, affinché vengano utilizzati nelle mense e consegnati alle persone in difficoltà del territorio.
Sempre ribadendo il ruolo che le persone detenute possono e desiderano svolgere a supporto della comunità, nasce la collaborazione tra Aziende Sanitarie e Istituti penitenziari che ha portato alla produzione di mascherine chirurgiche nella sartoria industriale del carcere di Massa (che ne ha donate 5000 all’Ospedale di Livorno) e che sta allestendo lo stesso tipo di produzione anche all’interno della casa di reclusione di Volterra.
Rimanendo l’emergenza grave e la necessità di interventi deflattivi urgenti per garantire la sicurezza sanitaria negli istituti penali, è però fondamentale continuare ad individuare strategie che possano aiutare nel valicare le mura degli istituti, rinnovando la collaborazione con l’esterno attraverso l’utilizzo delle tecnologie e alimentando lo scambio tra il dentro e il fuori.
Tali innovazioni potranno, infatti, accompagnare gli istituti anche nella fase successiva, quella della progressiva riapertura del Paese, che non potrà lasciarli indietro nel loro isolamento, ma dovrà progressivamente riattivare quell’offerta formativa e trattamentale che dovrebbe essere alla base dei percorsi delle persone recluse.
Se il momento è buio e difficile, ciò rappresenta anche uno stimolo per convogliare le energie e superare le criticità, guardando ad un futuro in cui ogni conquista potrà essere a beneficio anche dei giorni in cui questa emergenza sarà passata.
Questo potrebbe essere lo spirito con cui affrontare la Pasqua.