Abstract (traduzione)
Sebbene autorevoli organismi internazionali raccomandino di ridurre l’uso dell’isolamento nei contesti detentivi – o addirittura ne richiedano il divieto per i gruppi vulnerabili (come le persone con disabilità fisiche ed emotive) – tali raccomandazioni vengono comunemente ignorate dalla maggior parte dei Paesi, Italia inclusa. Ciò avviene nonostante i danni ben documentati prodotti dall’isolamento. L’articolo esplora le questioni etiche a sostegno della strategia volta a ridurre fino a eliminare l’isolamento. Sostiene che questa pratica comprometta il diritto eguale dei detenuti alla tutela della salute.
Inoltre, offre un quadro delle carceri italiane sovraffollate dalla cosiddetta “detenzione sociale” (con alti numeri di migranti poveri e persone svantaggiate, travolti da una combinazione di problemi sociali, psicologici e mentali). Il rischio di una rinascita dell’antico modello punitivo/terapeutico dell’“istituzione totale” è reale, e l’isolamento è una pratica coerente con questo modello, come si può osservare dal suo frequente utilizzo nei confronti di persone vulnerabili a rischio suicidario. In nome del diritto eguale alla tutela della salute, i riformatori dovrebbero promuovere l’abolizione dell’isolamento come passo fondamentale nel processo di normalizzazione della vita dei detenuti.
Parole chiave: diritto alla tutela della salute, detenzione sociale, detenuti con disabilità psicosociali, principio di normalizzazione
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