Il saggio che apre il numero speciale del Vaso di Pandora dedicato al femmicidio e alle problematiche sociali, culturali, giuridiche ed etiche che sono correlate è l’ultimo lavoro teorico di Grazia Zuffa. Fu inviato a Norberto Miletto il 4 febbraio, due giorni prima del terribile infarto che ha ucciso una persona speciale, protagonista su tanti fronti culturali, dalle droghe alla salute mentale, dal carcere all’ergastolo, dalla soggettività femminile alla bioetica.
Grazia Zuffa è stata nelle Istituzioni, senatrice e componente del Comitato Nazionale di Bioetica, lasciando un segno di originalità di pensiero.
E stata anche una militante di una politica non di potere, fondando e dirigendo associazioni come Forum Droghe e la Società della Ragione. Si è impegnata fino all’ultimo giorno di vita nella ricerca sociale, individuando un modello per i lavori di pubblica utilità che fornisse alle persone strumenti concettuali per il reinserimento sociale.
I suoi volumi e i tanti contributi che le venivano richiesti e che offriva con impegno e generosità rappresentano un patrimonio che andrà salvaguardato e valorizzato per costruire un futuro per una politica che costruisca convivenza rifiutando odio e violenza.
Il testo “Uomini che uccidono le donne: né mostri né matti” rappresenta straordinariamente la capacità di Grazia di affondare il coltello nelle contraddizioni e di far emergere un pensiero dissacrante, non banale, acuto. Spiazzante rispetto al senso comune e al politicamente corretto. La violenza sessuale come declamazione “catastrofica”, la critica al populismo penale e al femminismo “punitivo” sono indicazioni ricche per una riflessione autentica. Grazia Zuffa infatti rifiutava la demagogia e la retorica.
Un’altra pista suggestiva è quella della esaltazione della soggettività femminile rispetto alla immagine oleografica della debolezza della donna.
Anche l’affermazione che il patriarcato va sconfitto non con la giustizia penale è una chiave da esplorare.
La conclusione di questo saggio a cui aveva lavorato con passione e intensamente ci riporta al terreno della grande battaglia sulla imputabilità, sulla incapacità di intendere e volere e quindi sulla responsabilità. L’attacco al doppio binario è davvero fulminante.
L’indicazione che viene dalla pratica di Grazia Zuffa è di non limitarsi alla teoria ma di agire per il cambiamento. Abbiamo il compito e il mandato di valorizzare la proposta di legge elaborata dalla Società della Ragione per eliminare la costruzione strumentale del “folle reo”, ma anche di portare alla luce lo scandalo delle misure di sicurezza e l’internamento nelle case lavoro di trecento sventurati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, secondo la previsione lombrosiana del Codice Rocco. Si tratta di una ricerca tradotta nel volume “Un ossimoro da cancellare” e in una proposta di legge che non deve rimanere nei cassetti della Camera dei deputati.
Per finire. L’8 marzo per ricordare la figura di Grazia Zuffa a un mese dalla scomparsa convocammo una assemblea della sua associazione nella sede di San Salvi a Firenze. Ebbene proprio quel giorno piombò l’annuncio da parte del Governo di un provvedimento per introdurre nel Codice penale il delitto di femminicidio corredato dalla pena prevista dell’ergastolo automatico.
Molte reazioni scandalizzate sono state espresse da giuristi come Giovanni Fiandaca e Massimo Donini, da costituzionalisti come Andrea Pugiotto, da magistrati come Riccardo De Vito che hanno biasimato la strumentalità e l’inganno perpetrato all’ombra della giornata della mimosa.
Ci sarà modo di tornare sulle caratteristiche della risposta nel nome della emergenza di un delitto che richiede uno scavo sulla discriminazione e sulla asimmetria di potere maschio/femmina.
Mi piace ricordare la reazione sdegnata di alcune femministe amiche di Grazia Zuffa, prime Ida Dominijanni e Tamar Pitch e dell’avvocata e giurista Milli Virgilio, impegnata sul terreno della difesa delle donne colpite da violenza che ha parlato di una “polpetta avvelenata”.
Non sappiamo quale parola tagliente avrebbe usato Grazia, ma sappiamo che la sua voce sarebbe stata rigorosa e ferma sui principi dello stato di diritto e sul rifiuto dell’uso simbolico del diritto.