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Garantire il diritto alla affettività e alla intimità in carcere

La campagna in vista del giudizio della Corte Costituzionale e la documentazione di approfondimento

Testimonianza

A subire la pena è anche la mia ragazza

Detenuto comune, 28 anni, CC. di Frosinone.

Testimonianza

Non conosco più niente di loro. Famiglia vuol dire anche riuscire a rientrare nella società. Così siamo in una bolla.

Detenuto comune, 28 anni
CC. di Frosinone

Testimonianza

E’ una punizione che va contro la natura. Vorrei un altro figlio

Detenuto media sicurezza, 34 anni, CC. di Cassino

Liberare il diritto all’intimità nelle carceri italiane!

Sono trascorsi oltre dieci anni da quando i giudici della Consulta, con la sentenza n.301 del 2012, avevano riconosciuto il diritto per i detenuti di svolgere colloqui riservati come “una esigenza reale e fortemente avvertita…che merita ogni attenzione da parte del legislatore”, pur dichiarando l’inammissibilità della questione.

Tante cose sono accadute da quella pronuncia, sollecitata dal Tribunale di sorveglianza di Firenze. Diverse sono state le proposte di legge sul diritto all’affettività e alla sessualità, che si sono susseguite in questi anni. Particolarmente significativi i disegni di legge presentati da due consigli regionali, quelli della Toscana, nel 2021, e del Lazio, nel 2022. Nonostante questi richiami e l’esplicito monito della Corte del 2012, il legislatore è rimasto fermo. Un Magistrato di Sorveglianza, stavolta quello di Spoleto, ha di nuovo posto la questione all’attenzione della Corte Costituzionale

Con l’ordinanza n. 23 del 12 gennaio 2023, il giudice Fabio Gianfilippi ha sollevato l’illegittimità dell’art. 18 dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia. Non è ormai più possibile accettare che un diritto così importante delle persone recluse continui a non trovare attuazione. Né può essere tollerata la latitanza di un legislatore che, sul tema della sessualità in carcere, ha reso il nostro Paese quasi un unicum nel contesto europeo.

Molti giuristi e altre personalità, in un significativo appello, ricordano che la privazione dell’affettività e sessualità si configura come “un’autentica e indifferenziata pena accessoria”, “una primitiva sanzione corporale contraria al disegno costituzionale delle pene. Chiedono perciò che la Corte dichiari l’incostituzionalità del controllo visivo non supportato da specifiche esigenze di sicurezza.

Davanti ad un “mondo penitenziario… particolarmente in sofferenza” – citando le parole del Magistrato di Spoleto – non c’è più tempo per tergiversazioni o rinvii. Sprigioniamo gli affetti!

DIMENSIONE AFFETTIVA E CORPI IMPRIGIONATI

corpoAll’interno del carcere, salvo qualche “bacio rubato” durante i colloqui “aperti”, la sfera affettiva e sessuale è del tutto impedita.

Il “sesso recluso” si manifesta principalmente nel ricorso a pratiche masturbatorie o a rapporti omosessuali. Non essendo il frutto di una libera scelta ma della condizione penitenziaria, entrambe assumono il significato di avvilimento del detenuto e di degrado della sua dignità personale, oltre che motivo di disagio psichico.

La mancata garanzia della sessualità, inevitabilmente, incide sulle condizioni psicofisiche del detenuto: la negazione della sessualità e dell’affettività è causa di depressione e rabbia, fino a sfociare in episodi di violenza.

Anche il Comitato Italiano di Bioetica, in un parere del 2013, riconosce i bisogni relazionali dei detenuti e il mantenimento dei rapporti familiari come elementi costitutivi del diritto alla salute, chiedendo “la possibilità di godere di intimità negli incontri fra detenuti e coniugi/partners, in modo da salvaguardare l’esercizio dell’affettività e della sessualità in ottemperanza al principio etico della centralità della persona, anche in condizioni di privazione della libertà̀

Come dimostrano le interviste di una ricerca condotta dall’Università di Cassino nelle carceri del Lazio durante il periodo pandemico, la proibizione della sessualità si riversa, inoltre, prepotentemente sul rappor­to coniugale e limita il diritto a diventare genitori, anche per il partner. Le maggiori difficoltà nell’accesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita – che può rappresentare la sola modalità di sperimentare la gravidanza, soprattutto per le donne che stanno scontando una pena lunga, e sono destinate a lasciare l’istituto in età non più fertile – si tramutano in un ostacolo al proprio diritto alla maternità.

Probabilmente nessun altro elemento della vita in carcere ha il potere di disorganizzare la personalità degli individui come l’immaginario sessuale che si sviluppa nel “sesso recluso”.

La sessualità è, d’altra parte, elemento costitutivo della struttura esi­stenziale dell’uomo, parte integrante dell’espressione personale e dell’apertura alla comunicazione con gli altri.

I giudici costituzionali, già nel 1997, hanno definito la sessualità come uno degli essenziali modi di espressione della persona umana”, per cui “il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana”.

Eppure, la sub-castrazione detentiva viene ignorata dall’istituzione; non sufficientemente considerata anche da chi invoca un carcere riformato; taciuta dai detenuti, che la subiscono come una umiliazione estrema da nascondere.

IL CONTESTO INTERNAZIONALE E IL CASO ITALIANO

europaSe si volge l’attenzione a quello che accade all’estero, quello italiano è oramai un “caso”. Restano oramai pochi Paesi europei a negare il diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti.

Ben 31 Stati dei 47 che compongono il Consiglio d’Europa autorizzano, sia pure con diverse modalità, le visite “intime” dei detenuti; anche se in alcuni ordinamenti penitenziari quello della “visita” viene riconosciuto non come un diritto, bensì come un beneficio subordinato alla buona condotta del detenuto, e differenti sono i gradi di articolazione delle visite stesse.

In Croazia e Albania sono previsti colloqui non controllati di 4 ore con il coniuge o il partner, con frequenza settimanale. In alcuni lander della Germania sono predisposti piccoli appartamenti, in cui i detenuti condannati a lunghe pene possono incontrare i propri cari. Olanda, Norvegia, Danimarca prevedono soluzioni analoghe, con camera matrimoniale, servizi e cucina, senza limiti relativi alla posizione giuridica. Stessa soluzione anche in Finlandia, quanto non è possibile l’ammissione a permessi all’esterno. In Francia e Belgio si assiste a sperimentazioni in appartamenti per periodi prolungati, fino a 48 ore, con l’imputazione dei costi ai parenti dei detenuti. In Svizzera iniziative analoghe sono in atto in diversi cantoni della confederazione. La cattolica Spagna ha istituito visite familiari/intime brevi per tutti i detenuti, quale che sia la posizione giuridica. In alcuni paesi dell’Europa dell’Est e in Russia sono consentite visite in apposite strutture mobili, in cui può trovare accoglienza la famiglia in tutte le sue componenti.

In Canada, dal 1980 gli incontri arrivano fino a 72 ore e le soluzioni più ampie sono costituite da incontri fino a tre giorni in prefabbricati, siti nel perimetro degli istituti dove viene assicurata, ovviamente, la più completa intimità. Anche negli USA, che vantano il primato mondiale per numero dei detenuti, sono previsti, in alcuni Stati, programmi di visite coniugali o familiari: i detenuti possono incontrare, ogni due settimane, il coniuge e, ogni mese, tutta la famiglia, in una casa mobile posta all’interno del carcere, per tre giorni consecutivi. Vi sono esperienze anche in Israele, India, Messico, Brasile e Venezuela. Si tratta di un elenco certamente incompleto. Cfr. Ufficio di Sorveglianza di Firenze, ordinanza n.1476/2012.

Le “stanze dell’affettività” rappresentano una realtà consolidata dentro e fuori dall’Europa.

UN DIRITTO, NON UN PREMIO!

affettivitàSe il diritto alla sessualità (e, più in generale, quello all’affettività) è un diritto costituzionale essenziale alla persona umana e alla sua dignità, il suo riconoscimento deve prescindere da una logica premiale.

Trattare la sessualità al pari degli sconti di pena, dei benefici penitenziari, delle misure alternative alla detenzione, o di altri strumenti di risocializzazione, significa, né più né meno, ammettere che la sua amputazione è parte integrante della pena detentiva, giuridicamente riconosciuta ed ammessa dall’ordinamento.

Il diritto alla sessualità, al netto di speciali esigenze di sicurezza, deve trovare un riconoscimento per tutti i detenuti, a prescindere dalla partecipazione al trattamento o dalla regolarità della condotta, e senza quei limiti e restrizioni imposti ai detenuti imputati e condannati per i reati cd. “ostativi”. Valutazioni di tipo premiale potranno entrare in gioco, semmai, per incrementarne la fruizione, non per precluderne la concessione, così da tenere insieme entrambe le valenze della pena: umanità e rieducazione.

Come accade per corrispondenza, telefonate, colloqui, anche la concessione delle visite intime, devono escludere valutazioni sulla condotta del detenuto che ne fa richiesta.

I DISEGNI DI LEGGE DEI CONSIGLI REGIONALI DELLA TOSCANA E DEL LAZIO

Due sono i disegni di legge volti a riconoscere e regolamentare il diritto all’affettività e alla sessualità delle persone ristrette depositati alle Camere durante la scorsa legislatura.

Entrambi sono il frutto di iniziative regionali; entrambi prendono spunto dal prezioso lavoro degli Stati Generali sull’Esecuzione penale e della successiva Commissione Giostra.

Mentre il progetto legislativo del Consiglio regionale della Toscana introduce, più specificatamente, il diritto alla sessualità, quello laziale presenta un raggio di intervento più ampio. Nato dai risultati di una ricerca di campo effettuata in quattro istituti della Regione Lazio, è destinato a riformare tutte le principali “modalità di contatto” (colloqui, telefonate, permessi etc etc) dei ristretti con i propri affetti, sia fuori che dentro il carcere, ed è rivolto a tutti i detenuti, anche quelli sottoposti al regime speciale del 41-bis e/o condannati cd. ostativi.

Nei disegni di legge trovano compiuta cittadinanza le visite intime, accompagnate, oltre che dalla mancanza di controllo visivo, da tempi e spazi adeguati. Come opportunamente sottolineato dai giudici costituzionali già nel 2012, infatti, la sola eliminazione del controllo visivo non è sufficiente per garantire il diritto,

Sono state previste unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari, con percorsi dedicati ed esterni alle sezioni, senza controlli visivi e auditivi e collocate preferibilmente in prossimità dell’istituto. È stato fissato un tempo sufficiente per il mantenimento della relazione detenuto-affetti, pari ad una volta al mese, dalle 6 alle 24 ore.

Con riguardo ai “destinatari esterni”, devono includersi tutte le persone “autorizzate” ai colloqui, senza distinzioni tra familiari, conviventi e “terze persone”.

La concessione dei permessi di necessità, previsti dall’art. 30 o.p., perde il carattere di eccezionalità e vedono la sostituzione del requisito della “gravità” con quello della “rilevanza”; ricomprendendo così, eventi familiari importanti, anche positivi.

Vengono introdotti i nuovi permessi familiari, con la specifica finalità di coltivare (ripristinare o mantenere) le relazioni affettive. Il nuovo istituto non prevede requisiti premiali o limiti di carattere oggettivo, come una certa quota di pena residua da scontare. Oggi, paradossalmente, i detenuti con pene più lunghe possono andare in permesso molto più tardi degli altri; laddove, proprio per chi ha un orizzonte temporale di detenzione maggiore davanti a sé necessiterebbe più di altri di un contatto diretto con i familiari per mantenere, in concreto, il rapporto affettivo. 

I permessi familiari, inoltre, non richiedono neppure eventi particolari che giustifichino la loro concessione, a differenza di quelli ordinari ex art 30 o.p..

Il compito di verificare della pericolosità in concreto del soggetto interessato, caso per caso, viene affidato al magistrato di sorveglianza. Non alla legge, sulla scorta di presunzione legate al reato commesso in passato.

LA QUESTIONE COSTITUZIONALE

Con ordinanza n. 23 del 12 gennaio 2023, il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18  o.p. (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale), nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia, per contrasto con gli art. 2, 3, 13, commi 1 e 4, 27, comma 3, 29, 30, 31, 32 e 117, comma 1 C. (quest’ultimo in rapporto agli art. 3 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Il diritto alla sessualità giunge, così, nuovamente all’attenzione della Consulta, a distanza di oltre dieci anni dalla sentenza n. 301 del 19 dicembre 2012, che aveva riconosciuto la questione proposta come “una esigenza reale e fortemente avvertita … che merita ogni attenzione da parte del legislatore”, pur ritenendola inammissibile.

Un’ordinanza articolata, che menziona molti di quegli “elementi di novità” che forniscono ai giudici della Consulta un quadro indubbiamente diverso rispetto al 2012. Elementi che i giudici costituzionali non potranno ignorare; così come non potrà essere ignorata la latitanza di un legislatore che, sul tema della sessualità in carcere, ha reso il nostro Paese, oramai, quasi un unicum nel contesto europeo.

Giuristi importanti, con un accorato appello, si sono schierati in prima linea affinché la Corte ne dichiari l’incostituzionalità del controllo visivo non supportato da specifiche esigenze di sicurezza.

Il magistrato di Spoleto è consapevole della “tecnica dilatatoria” che ha segnato alcune recenti pronunce della Corte (si pensi, solo per citarne una, a quella Cappato). Anziché sostituirsi al legislatore, i giudici costituzionali hanno, di frequente, preferito “mettere in mora” il legislatore, concedendogli un termine entro il quale lo stesso è tenuto ad adeguare la normativa sulla scia dei principi enucleati dalla Corte stessa. Ancora una chance, dunque, per un intervento legislativo in nome di quelle “esigenze di collaborazione istituzionale”. Peccato, però, che la “chance” finisca per tradursi in un prolungamento illegittimo della carcerazione, in nome di una legge accertata incostituzionale, ma non dichiarata tale. Lo stato di particolare sofferenza in cui versa il sistema penitenziario, a parere del Magistrato di Sorveglianza, non può tollerare l’utilizzo di pronunce dilatorie. Ciò soprattutto in considerazione della lunga inerzia del legislatore rispetto al monito della Corte del 2012, nonostante le indicazioni della cd. Commissione Giostra, la riforma Orlando (che ha introdotto le visite familiari nell’ordinamento penitenziario minorile e richiamato ad una maggiore riservatezza per i colloqui) e i tanti progetti–pilota sperimentati in vari contesti detentivi.

Le carceri italiane, afflitte come sono dallo strutturale problema del sovraffollamento carcerario (con tutte le connesse conseguenze in sede di presa in carico e trattamento), dalle sempre maggiori criticità legate alla salute mentale in carcere e dal tasso di suicidi in continua crescita, necessitano di un intervento urgente in grado di incidere realmente sulla qualità dei rapporti familiari.