La Corte Costituzionale da quasi un anno assume decisioni in assenza di un giudice, infatti l’avv. Giuseppe Frigo si dimise dalla Corte per motivi di salute il 7 novembre 2016. Il plenum rappresenta un elemento di garanzia particolarmente in casi delicati e quando emergono orientamenti non unanimi e la stessa legittimità delle decisioni è messa dunque in discussione.
Il Parlamento in seduta comune ha il compito di eleggere il giudice costituzionale mancante entro un mese, ma il termine non è perentorio e in molte occasioni non è stato rispettato. Nella prima repubblica la spartizione era codificata e i cinque giudici di nomina parlamentare era attribuiti tre alla Democrazia Cristiana, due al PCI e uno ai socialisti e ai partiti laici.
Questa spartizione sulla base della logica del cosiddetto arco costituzionale impedì sempre l’elezione di un esponente della cultura garantista.
Già nel 1995 si era verificata una grave impasse che spinse Franco Ippolito, esponente storico di Magistratura democratica a chiedere un metodo nuovo e trasparente con il coinvolgimento dei cittadini per valorizzare il ruolo della Corte Costituzionale; io scrissi un articolo intitolato “Camere a Consulta” sul Manifesto del 24 maggio 1995 proponendo alcune soluzioni per sbloccare una anomalia istituzionale assai grave.
Nel 1996, parliamo della XIII legislatura, presentai alla Camera dei deputati una proposta di legge (n. 167) elaborata con l’ausilio del costituzionalista dell’Università di Pavia, Ernesto Bettinelli, per superare le possibili situazioni di inadempienze nella elezione dei giudici costituzionali. La norma di chiusura prevedeva che se entro due mesi dalla vacanza verificatasi, gli organi previsti non avessero provveduto alla nomina dei nuovi giudici, si sarebbe proceduto per cooptazione da parte della Corte Costituzionale.
Purtroppo nulla è stato fatto e ora di nuovo si manifesta una pericolosa incapacità delle Istituzioni repubblicane ad assolvere doveri fondamentali. Il Parlamento è giunto al settimo scrutinio senza esito, certificando addirittura la indecente mancanza del numero legale.
Il 26 aprile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontrò il Presidente del Senato Piero Grasso e la Presidente della Camera Laura Boldrini e con un comunicato stampa fece sapere di avere “sottolineato l’esigenza di approvare la legge elettorale e di nominare il giudice della Consulta”. Anche il Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi ha lamentato una condizione insostenibile. Stupisce che non si manifesti una grave preoccupazione per la caduta di credibilità del Parlamento e della crisi inarrestabile della democrazia.
In primo luogo tocca al garante della Repubblica, al Presidente Mattarella esercitare la propria responsabilità, inviando un Messaggio alle Camere come previsto dall’art. 87 della Costituzione.
Un atto, solenne e severo, metterebbe i parlamentari di fronte al dovere di adempiere a una funzione essenziale. I Presidenti Grasso e Boldrini, sarebbero costretti alla convocazione quotidiana del Parlamento, in una sorta di conclave laico, in modo da chiudere una vicenda incresciosa che non può essere protratta in un momento delicato come la fine della legislatura.
Il paradosso inaccettabile è che neppure sono sul tappeto nomi alternativi; è ora che si esca dall’oscurità e che il confronto parta magari da una rosa di nomi autorevoli per favorire la convergenza più vasta anche dei 571 voti necessari.
Questo appello sarà raccolto? Di fronte a questo insulto allo stato di diritto, sono certo che Marco Pannella avrebbe iniziato un digiuno di dialogo per far rispettare l’imperativo kantiano.
Rassegna Stampa
ROMA (14 marzo 2016) – Quasi 200 gruppi e organizzazioni della società civile provenienti da tutto il mondo hanno rilasciato oggi una dichiarazione che condanna i governi che si preparano per il vertice di UNGASS 2016 (il vertice delle Nazioni Unite sulla questione droghe previsto il mese prossimo) per non aver ancora riconosciuto le conseguenze devastanti delle politiche sulle droghe punitive e repressive.
Il documento, promosso dall’International Drug Policy Consortium (IDPC) e sottoscritto in Italia da Associazione Antigone Onlus, Associazione Insieme Onlus, Associazione La Società della Ragione ONLUS, Associazione Luca Coscioni, CGIL Nazionale, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), Forum Droghe, ITARDD (Rete italiana per la Riduzione del Danno), L’ Isola di Arran, Lega Italiana Lotta Aids (LILA), Legacoopsociali, Presidenza onoraria del Gruppo Abele, Radicali Italiani è stato diffuso oggi dal sito di IDPC ed è disponibile on line nello speciale UNGASS 2016 di fuoriluogo.it.
Nel mese di aprile 2016 infatti, i leader mondiali si riuniranno a New York per decidere sul futuro della politica sulle droghe globale, in occasione della prima Assemblea Generale delle Nazioni Unite Sessione Speciale (UNGASS 2016) [1] sul tema in due decenni. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha chiesto che questo incontro sia caratterizzato da un “dibattito ampio e aperto che consideri tutte le opzioni”. Ma, come i lavori preparatori stanno dimostrando, anche con la riunione annuale della Commissione sulle sostanze stupefacenti, questa settimana a Vienna, sta diventando chiaro che l’occasione di ripensare alla “Guerra alla droga”, quella che capita “una volta in una generazione”, sta per essere sprecata.
“La comunità globale ha riposto grandi speranze in questa importante occasione per un ripensamento su come controllare la droga, ma negando la realtà dei fatti e non riuscendo ad ammettere che un nuovo approccio è necessario, i governi stanno rischiando di sperperare questo raro momento “, avverte Ann Fordham, direttore esecutivo dell’International Drug Policy Consortium. “C’è ancora tempo per salvare il processo prima del vertice finale a New York il mese prossimo, ma i governi devono essere onesti circa le sfide e consentire nuove riflessioni e nuove idee”.
“Questo è un problema urgente. Incentrare su interventi di polizia e azioni militari le politiche volte a combattere il traffico di droga ha avuto un impatto durissimo molte comunità, raggiungendo livelli di violenza in alcuni casi equivalenti a una guerra civile”, ha detto Luciana Pol, Responsabile per la politica sulla sicurezza e sui diritti umani presso il Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS). “Questa sessione di UNGASS 2016 non può ripetere le stesse vecchie formule. Questo è il momento per il sistema delle Nazioni Unite di mostrare il suo solido impegno per la pace, i diritti umani e la salute pubblica “.
“Purtroppo le notizie che arrivano da Vienna non sono confortanti – aggiunge Maria Stagnitta, Presidente di Forum Droghe – ed insieme a quasi 200 associazioni abbiamo sottoscritto il documento che pubblichiamo sul nostro sito www.fuoriluogo.it. Riteniamo che la prospettiva che le trattative si concludano anzitempo con un accordo preso nella sede di Vienna sia assolutamente da rifiutare: chiediamo con froza che l’Italia faccia quanto in suo potere per scongiurare questa evenienza. La sede della discussione finale deve rimanere l’assemblea generale dove tutti i paesi possono esprimere la propria opinione alla pari. UNGASS 2016 è stata convocata per rimarcare l’incapacità che le convenzioni internazionali ad affrontare le questioni relative alla droga, e solo l’Assemblea ha la possibilità di garantire quel dibattito ampio e aperto necessario per un deciso cambio di passo.”
“Va segnalata una piccola luce nel buio di questa trattativa per quel che riguarda il percorso italiano verso UNGASS 2016. Nonostante perduri una incredibile assenza di guida politica del Governo sul tema droghe – commenta invece Leonardo Fiorentini, Direttore di Fuoriluogo, il sito italiano sulle politiche sulle droghe edito da Forum Droghe che segue da vicino il processo di UNGASS 2016 [2] – il Dipartimento antidroga ha saputo interloquire positivamente con le ong italiane che da tempo chiedevano un confronto su UNGASS. L’incontro del 4 marzo scorso è stato un esempio più unico che raro in Europa (ci risulta che solo la Norvegia abbia fatto altrettanto) di ascolto da parte di Governo e Amministrazioni centrali delle istanze della società civile. Ci auguriamo che questo spirito possa portare ad una posizione propositiva e aperta al confronto da parte della delegazione italiana, sia in occasione della riunione della CND di questa settimana che nell’ormai prossimo appuntamento di New York”.
Il documento della società civile dal titolo “Diplomazia o negazionismo?”, condanna i preparativi condotti finora, mettendo in evidenza i seguenti problemi:
- La mancanza di progressi compiuti dalle politiche di droga nel corso degli ultimi 50 anni non è ancora stata riconosciuta con onestà. L’ultima UNGASS sulle droghe nel 1998, si è svolta sotto lo slogan “Un mondo libero dalla droga: possiamo farlo!,” ancora quasi venti anni più tardi, le droghe sono ampiamente disponibili e accessibili più che mai, il mercato della droga è dinamico e diversificato, e le organizzazioni criminali sono sempre più innovative e potenti.
- Le prove schiaccianti delle conseguenze devastanti delle politiche punitive e repressive sulle droghe non sono state finora considerate nei negoziati delle Nazioni Unite fino ad oggi. Queste vanno dalle violazioni sistematiche dei diritti umani commesse in nome del controllo delle droghe all’esacerbazione delle infezioni da HIV ed epatite C a causa della trasmissione tra le persone che si iniettano droghe sino alla catastroficamente scarsa disponibilità di farmaci come la morfina per alleviare il dolore. Ed ancora dalla violenza e la corruzione perpetuate dalla diffusione dei mercati della droga criminali, alla distruzione dei mezzi di sussistenza degli agricoltori a causa dell’eradicazione forzata delle colture sino al continuo uso della pena di morte per reati di droga. Senza contare i miliardi di dollari di denaro pubblico sprecato per far rispettare norme che, semplicemente, non funzionano.
- I governi nazionali e le Nazioni Unite non sono riusciti a garantire un processo preparatorio inclusivo e trasparente [3] verso UNGASS 2016, e invece gli interessi acquisiti e un piccolo gruppo di stati membri conservatori hanno dominato i negoziati. Le proposte per smuovere lo status quo, anche lanciate dagli Stati membri e da molte agenzie delle Nazioni Unite, sono state emarginate e il dissenso soffocato.
UNGASS 2016 doveva essere destinata ad essere una valutazione onesta e attesa da tempo di ciò che sta funzionando e non funzionando rispetto alle politiche globali sulle droghe. I governi saranno riuniti questa settimana a Vienna, per continuare i loro lunghi negoziati sul documento finale di UNGASS 2016 [4]. Fino ad oggi, questi negoziati sono stati non-inclusivi e non trasparenti, e la bozza di documento attualmente in discussione ignora le raccomandazioni cruciali e gli input provenute in questi mesi da un considerevole numero di governi, agenzie delle Nazioni Unite, accademici e organizzazioni della società civile.
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Note per i media:
“L’anno trascorso è stato caratterizzato dalla rilevante incidenza sul trattamento punitivo dei reati in tema di stupefacenti che è derivato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014”, questo ha detto il Primo presidente della Corte di cassazione, Giorgio Santacroce, inaugurando l’anno giudiziario. Come avevamo sostenuto già all’indomani della sentenza, alcuni delicati problemi interpretativi che ne sono seguiti “avrebbero potuto essere evitati o, almeno, ridotti da un tempestivo e coerente intervento del legislatore volto ad adeguare le pene previste in questa materia, tenuto conto del ripristino della differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti e, soprattutto, prendendo coraggiosamente atto della estrema inutilità dell’incremento sanzionatorio stabilito con la legge Fini–Giovanardi”. Ma così non è stato. E in carcere abbiamo visto consumarsi l’esecuzione di pene illegittime, stabilite sulla base di norme giudicate incostituzionali.
Già in due importanti pronunce la Cassazione ha fatto cadere il tabù dell’intangibilità del giudicato, non opponibile al “diritto di libertà contro ingiustificate limitazioni disposte in applicazione di una norma in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale”, per stare ancora alle parole di Santacroce. Ma, si sa, la giurisdizione è un potere diffuso, e ogni giudice è indipendente nelle sue decisioni. Così non mancano decisioni assurde, che si rifiutano di rivedere la pena in esecuzione perché rientra nei limiti stabiliti dalla vecchia normativa tornata in vigore, senza che sia tenuto in alcun conto il fatto che una detenzione di droghe leggere punita con meno di sei anni di carcere ai tempi della Fini-Giovanardi era un reato poco più che bagatellare, mentre con i nuovi limiti di pena diventa equivalente a un fatto che si merita quasi il massimo della pena. Così, ha ricordato Santacroce, il 26 febbraio le Sezioni unite della Cassazione torneranno ad affrontare la questione dell’intangibilità del giudicato, questa volta proprio in materia di droghe, per “fare un po’ d’ordine nel microsistema sanzionatorio della nuova normativa”.
E, in effetti, un po’ d’ordine serve se il Procuratore aggiunto di Milano, Antonio Robledo, coordinatore dell’ufficio dell’esecuzione penale presso il Tribunale, richiesto di informazioni dal suo Capo, Edmondo Bruti Liberati, su sollecitazione della Garante dei detenuti di Milano, Alessandra Naldi, ha messo nero su bianco la soluzione tartufesca escogitata dalla VI sezione penale della Corte di cassazione e citata anche da Santacroce per motivare il ricorso al giudizio delle Sezioni unite. In base a essa, la pena sarebbe illegittima, appunto, solo nel caso in cui si collochi fuori dalle previsioni penali vigenti. Insomma, se valutate tutte le circostanze del caso, Tizio era stato condannato a cinque anni di reclusione sulla base della Fini-Giovanardi, potendo essere condannato a cinque anni di reclusione anche con la normativa rinnovata, per Robledo (e immaginiamo anche per Bruti, che su questo non obietta nulla al suo aggiunto-antagonista) non c’è problema: era condannato a una pena addirittura inferiore al minimo previsto dalla Fini-Giovanardi, oggi può restare condannato a una pena corrispondente quasi al massimo della (più mite) legislazione in vigore.
La cosa non ha senso e offende il più elementare senso di giustizia. Speriamo che le Sezioni unite della Cassazione chiudano definitivamente questa stucchevole querelle e, soprattutto, che ognuno faccia ciò che deve per porre termine all’esecuzione di pene illegittime.
La quaestio ha molto a che fare con l’abuso della decretazione d’urgenza. I tanti giudici remittenti, infatti, hanno impugnato due dei ventitré articoli che il Governo Berlusconi introdusse scaltramente in sede di conversione di un decreto adottato per lo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino. Per riuscirci, si ricorse alla tecnica del maxiemendamento scudato dal voto di fiducia. Per evitare il rinvio presidenziale, si approvò la legge a ridosso dello scioglimento delle Camere e dell’inizio dei giochi olimpici, mettendo il Quirinale con le spalle al muro. Un innesto normativo artificiale, dunque, che produce un corpo (legislativo) geneticamente modificato.
La quaestio ha molto a che fare anche con il messaggio del Capo dello Stato sulle carceri. Si doveva discuterlo venerdì scorso, a ben tre mesi dal suo invio. L’affanno parlamentare nella conversione dell’ennesimo decreto legge fiduciato ha postergato il confronto a chissà quando: e pazienza se questa svogliatezza parlamentare assume ormai i contorni più che dello sgarbo, dello sfregio istituzionale.
Quel messaggio indica le vie per uscire da un sovraffollamento carcerario, di cui la legge Fini-Giovanardi è una delle cause normative. Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la sua violazione. Le sue pene (da 6 a 20 anni di carcere) per chi detiene qualsiasi sostanza stupefacente si applicano a molti consumatori, anche per il semplice possesso di una quantità di poco eccedente la soglia non prevista dalla legge, ma da un decreto ministeriale. E senza distinzione possibile tra droghe leggere e pesanti, perché – Giovanardi dixit – «la droga è droga».
Di stupefacente, in tutto questo, c’è un uso della pena come strumento di controllo sociale, a sanzione di uno status (più che di una condotta), amputata della sua finalità rieducativa: perché dal carcere non si può uscire non più tossicodipendenti.
La quaestio, infine, ha molto a che fare con l’elevatissimo contenzioso a Strasburgo contro l’Italia. Dandoci un anno di tempo per risolvere un sovraffollamento carcerario che vìola il divieto di tortura, la Corte europea ha congelato gli oltre 3.000 ricorsi presentati da altrettanti detenuti nelle carceri italiane. Un numero destinato a crescere, quanto più nel tempo si protrarrà un sovraffollamento già oggi «strutturale e sistemico».
Anche la Consulta deve farsi carico del problema perché la Corte europea, condannando lo Stato italiano, chiama tutti i poteri statali (Corte costituzionale compresa) a risolverlo. Ad esempio, rimuovendo alcune delle norme repressive di una legge carcerogena come quella sulle droghe. Nella pregressa giurisprudenza costituzionale contro l’abuso della decretazione d’urgenza si ritrovano tutti gli argomenti per farlo: quella legge, infatti, è «certamente incostituzionale», come motiva l’omonimo appello firmato da 138 giuristi, garanti e operatori del settore. Si può leggerlo in www.societadellaragione.it
Sarà inviato ai quindici giudici costituzionali chiamati a essere, semplicemente, fedeli a se stessi.
Come si sa, la suddetta legge è stata approvata, nel febbraio 2006, inserendo nel decreto-legge sulle Olimpiadi invernali di Torino, una riforma repressiva del vecchio testo unico sugli stupefacenti. Si tratta dello stravolgimento delle procedure parlamentari, che in altre occasioni la Consulta ha ripetutamente bocciato, come ha recentemente ricordato anche il presidente Napolitano a proposito del cosiddetto decreto salva-Roma, che il governo è stato costretto a ritirare.
La questione è, dunque, palesemente fondata e la Corte costituzionale, se resterà fedele alla sua consolidata giurisprudenza, non potrà fare a meno di cancellare questa legge illegittima e ingiusta.
È sconcertante, perciò, che il Presidente del Consiglio, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, si sia costituito in giudizio per chiedere alla Consulta di rigettare la questione.
Sul piano politico è sconcertante che Enrico Letta chieda di salvare una legge che, nel corso del dibattito parlamentare sulla sua approvazione, fu definita dallo schieramento politico al quale apparteneva e ancora appartiene, una «vergogna istituzionale», che ha segnato «il culmine della volgarità istituzionale e del disprezzo del Parlamento».
Oggi, dopo otto anni di sperimentata iniquità della Fini Giovanardi, il Presidente del Consiglio non esita a tesserne l’elogio, affermando che lo spietato inasprimento del trattamento penale della cannabis risponde «ad una esigenza di straordinaria urgenza e necessità di disciplinare una materia ritenuta di fondamentale importanza ai fini della tutela della salute individuale e collettiva, nonché ai fini della salvaguardia della sicurezza pubblica, attraverso il rigoroso e fermo contrasto al traffico ed allo spaccio degli stupefacenti».
Sono gli stessi toni e gli stessi vieti fantasmi evocati dalla peggiore propaganda della destra repressiva. Duole, sul piano politico, che il Presidente del Consiglio li faccia propri al cospetto della Corte costituzionale.
Non meno sconcertante è la sbalorditiva pochezza degli argomenti giuridici, il principale dei quali è il seguente: la questione va dichiarata inammissibile perché la Cassazione non ha considerato che la pena inflitta all’imputato – accusato del trasporto di circa quattro chili di hashish – avrebbe potuto essere diminuita applicando l’attenuante del «fatto di lieve entità», senza bisogno di scomodare la Consulta.
Ebbene, tutti sanno che la Cassazione non può applicare attenuanti, ma solo controllare – come puntualmente ha fatto nel nostro caso – se i giudici di merito le hanno negate legittimamente. L’Avvocatura dello Stato, che rappresenta il Presidente del Consiglio in carica, non dovrebbe ignorarlo, così come non dovrebbe ignorare che le nostre galere sono piene di migliaia di detenuti, cui l’attenuante viene negata dai nostri tribunali per la detenzione di quantitativi di cannabis inferiore anche cento volte a quello che ha indotto la Cassazione ad inviare il processo alla Consulta.
In conclusione, l’intervento del Presidente del Consiglio a difesa della Fini Giovanardi è un atto politicamente e giuridicamente insensato. Fino all’11 febbraio c’è tempo per un atto di resipiscenza. Non sarebbe male se quella parte della sinistra che dentro e fuori del Parlamento si mostra sensibile al tema facesse sentire la propria voce.
La parola è passata quindi alla politica: sono intervenuti Ivan Scalfarotto e Donatella Ferranti per il Pd, seguiti da Vittorio Ferraresi, parlamentare 5 stelle, per parlare dell’ipotesi della legalizzazione delle droghe leggere e quindi della legge che verrà. Se verrà. A gelare gli entusiasmi degli ultimi due mesi e a mettere un freno al disegno di legge che vede tra i firmatari lo stesso Scalfarotto e Daniele Farina, ci si è messo Matteo Renzi che, intervistato la scorsa settimana da Daria Bignardi, aveva di fatto chiuso all’ipotesi di legalizzazione.
Il Pd fa marcia indietro quindi? Forse. Dopo aver ascoltato gli esponenti democratici, pronunciarsi su massimi sistemi con retorica ed un po’ di confusione lessicale (il pudico e politically correct “depenalizzazione” ricorre costantemente al posto di legalizzazione o regolamentazione) ammetto di aver capito ben poco delle intenzioni dei due parlamentari Pd. L’adesione di Scalfarotto “alla causa” non è sembrata di circostanza, mentre la Ferranti, ha evitato senza tanti complimenti, la seccatura di dover prendere una posizione. Risultato? Un sì di principio al superamento della Fini-Giovanardi ma sguardo al cielo se si chiede “bene ma sostituita da cosa”? Il disegno di legge Scalfarotto-Farina, cosi com’è, (se mai davvero dovesse iniziare l’iter parlamentare) lascia aperti troppi interrogativi: va bene depenalizzare la coltivazione domestica, va benissimo cancellare le sanzioni amministrative ma senza uno straccio di regolamentazione (in senso stretto), si rischia di fare più danni di quanti non ne abbia già fatti la l.49.
D’altronde l’esperienza olandese insegna: no a lasciare indeterminato l’anello più debole della catena, ossia la produzione. E’ lodevole l’accento sulla non criminalizzazione del consumo ma far emergere lo spaccio, normandolo, è fondamentale perché l’esperimento possa avere possibilità di riuscita. E proprio sulla produzione, ha posto l’accento Ferraresi, il giovane deputato del Movimento 5 Stelle; nella proposta di legge che il blog di Grillo sta sottoponendo al vaglio dei sostenitori del Movimento, sono previste una tassa di concessione governativa ed numero massimo consentito di piante di marijuana per la coltivazione domestica. 5 grammi, come nei Paesi Bassi, sarebbe il quantitativo di ganja per uso personale. Non si accenna invece ad esercizi commerciali come i coffeeshop, i dispensari americani oppure i cannabis club spagnoli.
Ma il disegno di legge, va detto, è ancora in fase di elaborazione. E francamente, al netto di un po’ di retorica “anti casta”, l’intervento di Ferraresi è stato, a differenza di quello dei parlamentari democratici, chiaro e trasparente. Dalle parti di Grillo, insomma, vogliono una regolamentazione. Il deputato grillino poi si è scagliato contro le divisioni interne al Pd a proposito della questione cannabis, divisioni che potrebbero portare al sacrificio della tanto sospirata riforma sull’altare delle larghe intese. Sarebbe un peccato mortale, considerando che l’Italia è attualmente l’unico paese europeo con un dibattito (concreto) in corso sulla legalizzazione della cannabis.
Droghe, primo colpo alla Fini–Giovanardi
Emendamento al dl carceri: ridotte le pene per il piccolo spaccio. Appello per l’abolizione della legge
Annalisa D’Aprile sui quotidiani AGL.
ROMA Mentre in Parlamento il relatore del decreto carceri David Ermini (Pd) presentava un emendamento che reintroduce la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, abbassando le pene per il piccolo spaccio di hashish e marijuana, assestando così un primo colpo alla legge Fini-Giovanardi, a qualche centinaio di metri di distanza veniva presentato l’appello di giuristi e garanti a sostenere l’incostituzionalità della legge sulle droghe. Cannabis. L’emendamento presentato in commissione Giustizia della Camera prevede la reclusione al massimo per 3 anni contro i 5 attuali e multe più light per il piccolo spaccio da strada della cannabis. E si introduce una distinzione tra droghe leggere e pesanti. Il decreto legge carceri già interviene sul cosiddetto piccolo spaccio, prevedendo che il massimo della reclusione scenda da 6 a 5 anni. Con l’emendamento la pena viene dunque ulteriormente ridotta solo per il piccolo spaccio di cannabis (la reclusione va da 6 mesi a un massimo di 3 anni), consentendo così la possibilità di usufruire della messa alla prova, mentre le multe vanno da 2mila a 12mila euro contro l’attuale forbice 3mila-26mila. In questo modo, spiega il relatore Ermini, «torna di fatto una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti» che rimetterà in discussione l’impianto della Fini-Giovanardi. Per le droghe pesanti infatti gli anni di reclusione restano cinque. L’appello. Il prossimo 12 febbraio la Fini-Giovanardi arriverà davanti al giudizio della Corte costituzionale, dopo che dai giudici della Corte d’appello di Roma è stata bollata come incompatibile con la Costituzione. Per questo, il garante dei diritti dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, il presidente della onlus “La società della ragione”, Stefano Anastasia, e l’avvocato Luigi Saraceni, si sono fatti promotori di una mobilitazione contro una legge che, dicono, «è carcerogena» e «certamente incostituzionale». «È iniziata la raccolta firme di avvocati, garanti, magistrati e operatori del settore – spiega Corleone – l’appello non è una forma di pressione sulla Consulta, ma una presa di coscienza contro la violenza fatta nel 2006 sul Parlamento, facendo passare una legge punitiva con una manovra subdola». Nel dossier elaborato dalla onlus, «Fini-Giovanardi a giudizio – La parola alla Consulta», si spiega perché la legge sulle droghe è incostituzionale, quali sarebbero i vizi di «forma» e di «sostanza», come ad esempio, sostiene Corleone, «l’averla inserita senza necessità, urgenza e omogeneità, nel decreto legge sulle Olimpiadi». Ma soprattutto, si legge nel dossier, «la reintroduzione – tramite giudicato costituzionale – di una normativa penale più favorevole produrrebbe un’ulteriore conseguenza di sistema: un significativo effetto deflattivo nelle carceri italiane». Perché, spiegano i giuristi, «di tale sovraffollamento strutturale e sistemico la legge Fini-Giovanardi è una delle principali cause: un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per violazione dell’attuale normativa antidroga». Sono 80 finora i firmatari dell’appello contro la legge sulle droghe, tra i nomi anche quello di Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli. E il prossimo 8 febbraio, a 4 giorni dall’esame della Consulta, è prevista una manifestazione nazionale in piazza a Roma.
Fini-Giovanardi, 80 giuristi e garanti dei detenuti chiedono l’incostituzionalità
Fini-Giovanardi, 80 giuristi e garanti dei detenuti chiedono l’incostituzionalità
Sulla norma, il prossimo 12 febbraio si esprimerà la Corte Costituzionale e per molti giuristi si tornerà alla Jervolino-Vassalli. “Avremo effetti positivi sul sovraffollamento delle carceri, ma sulle droghe serve una riforma completa”
Redattore Sociale – 21 gennaio 2014 – 13:03
ROMA – Sono già 80, tra giuristi, garanti dei detenuti e rappresentanti di associazioni nazionali, i firmatari dell’appello per l’incostituzionalità della legge sulle droghe Fini-Giovanardi promosso dall’associazione La Società della Ragione e presentato oggi a Roma durante il seminario “Fini-Giovanardi a giudizio” presso la Camera dei deputati. Sulla Fini-Giovanardi, infatti, pende il verdetto della Corte Costituzionale atteso per il prossimo 12 febbraio che potrebbe mettere fuori gioco la norma e, secondo il parere di molti giuristi, far tornare la legge in vigore prima dell’arrivo della norma in questione introdotta con il decreto necessario per far fronte alle urgenze delle Olimpiadi invernali di Torino e che ha modificato il testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti. “La Corte Costituzionale non può non accettare questa richiesta di incostituzionalità – ha spiegato Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti per la Regione Toscana -. Molti costituzionalisti sostengono che ci sarà la reviviscenza della vecchia legge, anche se una parte minoritaria della dottrina ha dei dubbi su questo”.
Il verdetto della Corte Costituzionale, quindi, non creerà di fatto nessun vuoto normativo, ma il ritorno alla vecchia legge pone dei problemi riguardo coloro che stanno scontando o hanno già scontato una pena sancita dalla Fini-Giovanardi. “Il ritorno alla vecchia legge pone problemi di trattamento giuridico di tutte le persone che in questi anni sono state penalizzate e questo riguarda le droghe leggere – ha spiegato Corleone -. Non si può andare ad un trattamento peggiorativo per quanto riguarda le persone che sono state giudicate per droghe pesanti, perché se dovesse ritornare la legge Jervolino-Vassalli avrebbero un aumento di pena, ma per un principio di tutela ordinamentale non si può per il passato penalizzare maggiormente. Certamente per il futuro lo spacciatore e il trafficante di droghe pesanti avrebbe pene da 8 a 20 anni di carcere, mentre oggi è da 6 a venti. Per chi invece, condannato per detenzione di droghe leggere si pone il problema di come rimediare alla condanna fatta su una legge che non esiste più. Per chi ha già scontato la pena non so se si può immaginare un annullamento e una richiesta di nuovo procedimento. Per chi è in fase di giudizio, è evidente che si userà la legge in vigore”.
L’intervento della Corte Costituzionale, inoltre, potrebbe avere un impatto positivo sul problema del sovraffollamento carcerario. Per il Presidente de La Società della Ragione, Stefano Anastasia, “sono ormai otto anni che la legge Fini-Giovanardi dispiega i suoi effetti nefasti sul funzionamento della giustizia e sulla condizione delle carceri. Questo periodo ha visto aggravarsi lo stato di illegalità e aumentare l’invivibilità degli istituti penitenziari. La denuncia del sovraffollamento e del carattere di discarica sociale delle prigioni è stata incessante da parte delle associazioni impegnate su questo tema. Per contro le droghe continuano a circolare liberamente nelle nostre strade, nonostante la propaganda del Dipartimento Antidroga voluto da Giovanardi. Quell’abuso di potere che sin dall’inizio è stato denunciato e contestato nella sua approvazione ha trovato finalmente il suo giudice naturale”. Effetti positivi sul sovraffollamento che si potrebbero avere anche con alcune modifiche al decreto carceri del ministro Cancellieri presentate dagli stessi promotori dell’appello alcuni giorni fa alla Camera dei deputati.
La possibile dichiarazione di incostituzionalità, però, non risolve il problema di una necessaria riforma della materia in Italia. “Non è sufficiente un ritorno alla vecchia normativa – ha spiegato Corleone -. Occorre rivedere la Jervolino-Vassalli. Una sentenza del genere apre la discussione a quello che succede nel mondo, dall’Uruguay agli Stati uniti. Una discussione libera da tutti gli impacci posti da Giovanardi, dal Dipartimento antidroga. Sarebbe una spinta enorme ad aprire una discussione di riforma completa”.(ga)
Intollerabile fu l’arroganza con cui il Governo Berlusconi, nel 2006, al termine di una legislatura in cui non era stato capace di trasformare in legge un disegno volto ad aggravare il trattamento sanzionatorio penale dei consumatori di droghe, impose al Parlamento di approvarne i contenuti più detestabili attraverso un maxi-emendamento a un decreto-legge motivato dall’imminente svolgimento delle Olimpiadi invernali a Torino. Galeotta fu l’eterogeneità del decreto, che già disciplinava il diavolo e l’acqua santa: misure di sicurezza per le Olimpiadi e norme di favore per i tossicodipendenti recidivi, appena colpiti oltre misura dalla invereconda legge Cirielli. Eh già: nella foga della legge e dell’ordine, il Parlamento aveva infatti escluso anche i tossicodipendenti con programmi terapeutici in corso dalla sospensione della pena, causando non pochi problemi operativi. Bisognava mettere una pezza, e il decreto-legge per le Olimpiadi sarà parso al Governo un buon treno cui agganciare il vagoncino con la carota per i tossicodipendenti recidivi. Chissà se nella testa del legislatore d’emergenza fosse già chiara l’intenzione di far crescere quel vagoncino a dismisura, fino a comprendere l’intero disegno di legge governativo cui Fini e Giovanardi avevano dato il nome? Certo è che così andò e il Parlamento non ne poté neanche discutere, sotto il ricatto della fiducia sia al Senato che alla Camera.
Quel che ne è venuto, è sotto gli occhi di tutti: un enorme rigonfiamento delle galere, in massima parte causato dalla legge sulle droghe.
Meritoriamente la commissione giustizia della camera, su iniziativa di Daniele Farina e Sandro Gozi, ha iniziato a discutere della riforma di quelle norme punitive e criminogene, e si affacciano nuove proposte per la depenalizzazione del consumo e della coltivazione a uso personale della cannabis. Seppur timidamente, il governo ha già fatto la sua parte, inserendo nel decreto-legge in corso di conversione la distinzione dei fatti di lieve entità dalle previsioni relative al traffico di sostanze stupefacenti.
A questo punto, la decisione della Corte costituzionale potrebbe sancire un’inversione di rotta nella politica sulle droghe. La legge Fini-Giovanardi è certamente incostituzionale per i vizi nel procedimento di conversione del decreto-legge che l’ha portata ad approvazione. Vizi non dissimili da quelli che hanno indotto il Quirinale a chiedere al Governo di lasciar decadere il decreto «salva-Roma» e a sollecitare un più attento esame dell’ammissibilità degli emendamenti ai decreti, legittimi solo se inerenti la materia disciplinata dal decreto e vincolati a quella necessità e urgenza che ne ha giustificato l’adozione. Così non fu al tempo delle Fini-Giovanardi, impropriamente agganciata a una norma di segno opposto a quelle in essa contenute: mentre il decreto faceva salve alcune peculiari condizioni di non punibilità dei tossicodipendenti, il maxi-emendamento governativo ne faceva strame, destinandoli massicciamente al carcere.
Col rinvio alla Corte Costituzionale, quell’abuso di potere che sin dall’inizio è stato denunciato e contestato nella sua approvazione ha trovato finalmente il suo giudice naturale.