Più volte, in questi giorni, nell’omelia della messa mattutina Papa Francesco ha ricordato le donne e gli uomini detenuti e i pericoli cui anch’essi sono esposti per l’epidemia da coronavirus. Come gli altri, anzi più degli altri: perché un luogo cinto da mura e per di più sovraffollato, dove le persone sono costrette a stare senza poter seguire le precauzioni indispensabili, può diventare una polveriera.
Il Comitato Nazionale di Bioetica ha dedicato alcuni documenti alle carceri, fra cui un parere intitolato La salute “dentro le mura”, nel 2013. In esso, si ribadiva il diritto delle persone “dentro” a essere tutelate nella salute alla pari delle persone “fuori”. Tanto più considerando che coloro che entrano in carcere sono in media già svantaggiati per livelli di salute, prima ancora di subire lo stress della carcerazione. Il Comitato raccomandava perciò alle istituzioni una particolare attenzione ai carcerati e alle carcerate, in quanto gruppo “ad alta vulnerabilità”.
Oggi, 7 aprile, ho ricevuto un messaggio da Anna Gensabella, cara amica e collega nel Comitato Nazionale di Bioetica. “Per il Papa i carcerati non sono solo soggetti vulnerabili – mi scrive- ma persone a cui affidare la meditazione sulla Via Crucis”.
E infatti la via Crucis del prossimo Venerdì Santo, che sarà presieduta dal Papa in piazza San Pietro, sarà scandita da meditazioni sulla Passione di Cristo di cinque detenuti, oltre che dalla figlia di un uomo condannato all’ergastolo, da una famiglia vittima di un omicidio, da un agente di polizia penitenziaria e da altri e altre in diverso modo legati alla realtà del delitto e della pena. Dunque, sulla Via Crucis parleranno i detenuti. “Mi sembra una grande lezione di vita per tutti – aggiunge Anna”. E lo è: perché “dare parola” è il modo per riconoscere il lato di “forza” della persona, per rispettare la sua dignità.
Grazia Zuffa
Per volontà di Papa Francesco, il testo delle meditazioni (raccolte dal cappellano del carcere Due Palazzi di Padova e da una volontaria) è scaricabile dal sito della Libreria Editrice Vaticana.
Raccogliamo l’invito, leggiamo queste meditazioni, ascoltiamole il prossimo Venerdì Santo.
Proponiamo in anteprima la meditazione di una persona detenuta condannata all’ergastolo, alla prima stazione, quando Gesù è condannato a morte e tutti urlavano “Crocifiggilo, crocifiggilo”.
I stazione
Gesù è condannato a morte
* (Meditazione di una persona detenuta condannata all’ergastolo)
Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere (Lc 23,20-25).
Tante volte, nei tribunali e nei giornali, rimbomba quel grido: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».È un grido che ho sentito anche su di me: sono stato condannato, assieme a mio padre, alla pena dell’ergastolo. La mia crocifissione è iniziata quando ero bambino: se ci penso mi rivedo rannicchiato sul pulmi-no che mi portava a scuola, emarginato per la mia balbuzie, senza nessuna relazione. Ho iniziato a lavorare quando ero piccolo, senza poter studiare: l’ignoranza ha avuto la meglio sulla mia ingenuità. Il bullismo, poi, ha rubato sprazzi d’in-fanzia a quel bambino nato nella Calabria degli anni Settan-ta. Somiglio più a Barabba che a Cristo, eppure la condanna più feroce rimane quella della mia coscienza: di notte apro gli occhi e cerco disperatamente una luce che illumini la mia storia.
Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto. Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un’unica persona. Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia. Ho vissuto anni sottoposto al regime restrittivo del 41-bis e mio padre è morto ristretto nella stessa condizione. Tante volte, di notte, l’ho sentito piangere in cella. Lo faceva di nascosto ma io me ne accorgevo. Eravamo entrambi nel buio profondo. In quella non-vita, però, ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza. Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio: avverto, nel cuore, che quell’Uomo innocente, condannato come me, è ve-nuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita.
Signore Gesù, nonostante le forti grida che ci distolgono, ti scorgiamo tra la folla di quanti urlano che devi essere crocifisso; e forse tra loro ci siamo anche noi, inconsapevoli del male di cui possiamo essere capaci. Dalle nostre celle vogliamo pregare il Padre tuo per coloro che come Te sono condannati a morte e per quanti ancora vogliono sostituirsi al tuo supremo giudizio.
Preghiamo
O Dio, amante della vita, che nella riconciliazione ci doni sempre una nuova opportunità per gustare la tua infinita misericordia, ti supplichiamo di infondere in noi il dono della sapienza per considerare ogni uomo e ogni donna come tempio del tuo Spirito e rispettarli nella loro inviolabile dignità. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Da VIA CRUCIS 2020 Presieduta dal Santo Padre FRANCESCO – Copyright 2020 – Libreria Editrice Vaticana