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REMS, carcere, follia e delitto

Riformuliamo le questioni

Il dibattito rimane focalizzato sulle REMS, con una drammatizzazione delle liste di attesa e “del malato di mente che non deve stare in carcere”. E ci sono operatori che perfino attribuiscono alla l. 81 il peggioramento del sistema salute mentale in Italia.

Si dimentica che la l. 81 non “ha sostituito gli OPG con le REMS”, ma ha chiuso gli OPG per inaugurare un sistema di rete territoriale di presa in carico dei non imputabili, di cui le REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure di Sicurezza) dovevano essere il nodo di rete residuale. In realtà sono diventate il nodo centrale, facendo emergere le contraddizioni della riforma rappresentata dalla l.81. Infatti, le REMS hanno cercato di coniugare buone pratiche curative ma col limite di operare su pazienti dichiarati pericolosi socialmente e dunque sottoposti a misure di sicurezza.

Le REMS si sono insediate al centro del dibattito da un lato per l’eccessivo ricorso al binario di non imputabilità (già denunciato a suo tempo dal CSM), dall’altro per l’affermarsi del populismo penale che porta a proposte di spostamento delle REMS verso il versante sicurezza.

La concentrazione di attenzione sulle REMS fa trasparire la vera questione: il legame fra disturbo mentale e reato, che qualifica la persona sofferente psichica come “incapace di intendere e volere” e dunque suscettibile di essere etichettata come “pericolosa socialmente”. Siamo alla radice di ciò che rimane dell’approccio custodiale nel campo della salute mentale, nonostante la l.180.

Si tratta di riprendere il dibattito verso un movimento che sostenga l’evoluzione del sistema verso i diritti, le pratiche no restraint, la deistituzionalizzazione, contro le tendenze a nuove istituzionalizzazioni, contro proposte di REMS “ad alta sicurezza” che ripropongono gli OPG.