(Articolo pubblicato per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto dell’8 giugno 2022)
Nella lunga e tormentata vicenda del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo, circa lo Involuntary Treatment e Involuntary Placement (trattamento e internamento involontari) per le persone con disabilità psicosociali, il controverso documento ha appena subito uno stop significativo.
Riassumendo la storia: la discussione sul Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo è iniziata nel 2013, quando l’allora Dh Bio (Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa) fu incaricato di redigere il testo dal comitato dei ministri. La Convenzione di Oviedo sui Diritti Umani e la Biomedicina, varata nel 1997, è stato il primo strumento giuridico internazionale a protezione della dignità, dei diritti e delle libertà dell’essere umano nel campo della salute. Rappresenta la prima pietra bioetica, se così si può dire, su cui si è fondato l’edificio del “consenso informato” nel campo dei trattamenti sanitari, ponendo il paziente quale protagonista del diritto alla salute nel rispetto della sua volontà. Dunque, la prima anomalia riguarda la scelta dell’argomento del Protocollo, in contrasto con la ratio della Convenzione di Oviedo: poiché il documento insiste sulle condizioni di ammissibilità del trattamento “contro la volontà” della persona, per un gruppo particolare, le persone “con disordine mentale”.
Ciò contrasta anche con la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite – Crpd, del 2006, che stabilisce il divieto di “norme speciali”per le persone con disabilità, anche per le persone con “disabilità psicosociali”(secondo la nuova dizione). Ci sono poi passaggi particolarmente preoccupanti: la possibilità dell’internamento involontario (involuntary placement), la durata illimitata delle misure coatte, la regolamentazione (e dunque la legittimazione) della contenzione.
In ultimo, il Protocollo Aggiuntivo sembra ignorare la storia – anche recente- della psichiatria, fondata sulla coercizione e sulla privazione della libertà. In questa luce, il Protocollo, lungi dal garantire maggiormente le persone con disabilità psicosociali, legittimerebbe le prassi coercitive ancora una volta, ostacolando di fatto il raggiungimento di standard di buone pratiche basate sul consenso.
Il testo ha trovato l’opposizione delle Ong del settore, nonché di tutti gli organismi internazionali a tutela dei diritti umani, compresi i Commissari a ciò preposti dello stesso Consiglio d’Europa. Da qui il lungo iter di discussione durato quasi dieci anni; fino a quando, il maggio scorso il Comitato dei Ministri ha deciso per una nuova fase istruttoria, da concludersi entro la fine del 2024. L’istruttoria sarà condotta dal Cdbio – Steering Committee for Human Rights in the fields of Biomedicine and Health, l’organismo che ha sostituito il DH-BIO: a questo è affidato il compito di preparare una bozza di raccomandazione per promuovere i trattamenti volontari nei servizi di salute mentale. Solo a conclusione del compito, il Comitato dei Ministri deciderà se trasmettere o meno il tormentato Protocollo Aggiuntivo di Oviedo all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
In questa fase, il Cdbio sarà affiancato dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e da alcune reti internazionali di Ong (fra cui lo European Disability Forum): soggetti che – ripetiamo – hanno sempre manifestato contrarietà al Protocollo Aggiuntivo, chiedendo di rovesciare la prospettiva e sostenere i trattamenti volontari nello spirito di promozione dei diritti umani. Dunque, la preparazione di una raccomandazione del Consiglio d’Europa a favore dei trattamenti volontari rappresenta una prima vittoria. A questa battaglia, anche le ONG italiane hanno dato un contributo, chiedendo, con varie iniziative, che i rappresentanti italiani non avallassero il Protocollo Aggiuntivo: il che è avvenuto, e di questa apertura diamo volentieri atto.