Siamo uniti da un sentimento che ci possiede: sentiamo di essere vittime di una profonda ingiustizia. Nella serata dedicata ai trent’anni dalla morte di Ernesto Balducci, Pierluigi ci ha dato l’addio con un invito a continuare in ciò che era giusto.
Non so se ci può consolare, ma sentiamo la presenza di altri giganti friulani, poeti e spiriti profetici, Padre Davide Turoldo e Pier Paolo Pasolini.
Ci può aiutare il pensiero di Aldo Capitini, filosofo morale, teorico della nonviolenza e ideatore della Marcia per la pace Perugia-Assisi che scrisse della compresenza dei morti e dei viventi, un legame tra le vite presenti e quelle passate.
L’immortalità, secondo Capitini, non è un fatto. Ma è la continuità di tutti, la realtà di tutti.
Il culto dei morti è legato al tentativo di rendere la morte apparente. Ecco il senso della promessa della resurrezione.
Aldo Capitini infine approfondisce il senso della trasformazione di tutti: «Forse in qualche animo dei “civili” di oggi sta scomparendo la consapevolezza costante che ci sono anche i morti, e si perde così la testimonianza perenne che i morti e tutti i sofferenti danno della finitezza degli esseri nati alla vita. C’è chi non vuol saperlo, vuol dimenticarlo, e così, nel visibile attivismo, perde quell’equilibrio e quella serenità che
viene dal fare un posto di reverenza, di meditazione, di offerta a quella “testimonianza”, a quel martirio».
L’ultima affermazione che mi piace citare ha il fascino della poesia: «I morti non tornano perché non se ne vanno mai, perché sono uniti all’intimo».
Ricordo che regalai un libro di Capitini a Pierluigi per la sua convinta nonviolenza che traduceva nel suo Vangelo delle Beatitudini così: «Le persone che scelgono la nonviolenza e sono quotidianamente artigiane, costruttrici di pace… La nonviolenza attiva come scelta spirituale personale e comunitaria e, su un altro piano distinto non separato, come scelta culturale, etica e politica. La nonviolenza vissuta nel mondo violento; la costruzione quotidiana della pace vissuta nel mondo della terza guerra mondiale a pezzi in atto (come dice papa Francesco), dell’aumento nel 2016 della fabbricazione e del commercio delle armi; la pace della quotidianità nei rapporti e come progetto arduo di soluzione delle drammatiche guerre in atto…».
Ricordare e raccontare rappresentano una dimensione di umanità e un valore da coltivare per tenere il filo della memoria.
Alberto Mondadori in un ricordo dell’amico Buzzati scrisse che la persona scomparsa è presente ed è essenziale; siamo noi che non siamo nulla per chi non c’è più ed è questo il senso tragico e crudele della morte.
Sono stati momenti indimenticabili quelli che ci hanno visto assieme al Centro Balducci per parlare di droghe e di carcere o per la premiazione del Premio Battistutta in piena pandemia.
Mi confortò molto la vicinanza e la sintonia per il digiuno che avevo intrapreso per la vicenda della restituzione dell’onore per le vittime del militarismo e la giustizia sommaria nella Prima guerra mondiale.
Di Piazza ricordava il coraggio della coscienza, l’ubbidienza alle sue istanze profonde, a essere obiettori di coscienza al sistema di ingiustizia, di violenza, delle armi, della guerra, del razzismo, della discriminazione, della distruzione dell’ambiente.
Affermava la necessità di dire sì e no nella vita di ogni giorno, scegliendo per la vita, non per la morte. Era il 17 ottobre 2020.
Avevo pudore a sollecitargli aiuto e sostegno per battaglie che sapevo condivise, ma che potevano distoglierlo da compiti di solidarietà assai urgenti; per chiedergli la prefazione per il volume degli scritti di Maurizio Battistutta pregai Roberta Casco del compito delicato ed essenziale. Dopo la risposta positiva mi chiese che cosa mi aspettassi e se ritenevo che riproporre la sua orazione al funerale di Maurizio fosse una buona idea. Dissi che era una scelta opportuna e che poteva essere accompagnata da una riflessione attuale rileggendo i testi raccolti. Così fu.
Di Piazza ricordò un pensiero fondamentale di Battistutta, «di non considerare il carcere come luogo a perdere, da rimuovere e abbandonare, ma come luogo utopico di sperimentazione e di trasformazione radicale. Carceri, quindi, come luoghi di vera cura, di vero reinserimento sociale, oltre che di laboratori culturali. In fondo, non credo sia un’utopia».
Di Piazza affermava la necessità di far prevalere “la sicurezza dei diritti” al “diritto alla sicurezza”. E insisteva dicendo che «Non sarà certo il potere salvifico attribuito alle telecamere, alle pistole elettriche, ai manganelli, a costruire e garantire la sicurezza, ma invece la sensibilità del cuore, della coscienza e dell’intelligenza, la convivenza accogliente e pacifica fra le diversità».
Come non ricordare infine l’incontro in Via Spalato per piantare un melo come segno di cambiamento e di abbattimento delle sbarre e dei muri?
Celebrando la morte di Maurizio Battistutta pronunciò parole che possiamo fare nostre oggi: «Avverto la nostalgia, la mancanza della sua presenza così vera e umana. Ma poi sento che la sua presenza è viva e che continua a proporre con pacatezza e fermezza, sempre con profonda umanità. Continuiamo il cammino con il “noi” che via via formiamo, di cui lui è presenza così importante».
Il dolore è forte e rischia di schiantarci. Abbiamo il dovere di resistere e di essere all’altezza della passione e dell’amore di Pierluigi Di Piazza.
Icaro e la Società della Ragione dedicheranno il seminario del 31 maggio “Ripartire dalla Costituzione” su dignità e diritti nel carcere proprio a Pierluigi.