UDINE. La nouvelle vague prende le mosse dal Friuli Venezia Giulia. Ancora una volta. Dopo i riflettori puntati sul caso del Rototom Sunsplash, la Regione torna a essere protagonista nello spinoso dibattito attorno alle politiche generali sulle droghe. Lo fa assumendo una posizione dirompente.
Chiedendo, a larga maggioranza del Consiglio regionale, di depenalizzare il consumo di sostanze stupefacenti. Detto altrimenti: niente più carcere per chi viene fermato in possesso di un quantitativo di droga compatibile con l’uso personale.
La rivoluzione è contenuta nella proposta di legge Fossati – depositata alla Camera il 10 novembre 2015 – che ha a oggetto la modifica al Testo unico sugli stupefacenti del 1990, segnatamente alla depenalizzazione del consumo, alle misure alternative alla detenzione e infine ai programmi di riduzione del danno.
Ieri ha incassato l’assist del Consiglio, che a larga maggioranza – contrari Riccardo Riccardi, Roberto Novelli e Bruno Marini (Forza Itala), Luca Ciriani (Fratelli d’Itali), Barbara Zilli (Lega) e Claudio Violino (Misto) – ha invitato Parlamento e Governo a calendarizzarne la discussione e ad affrontare più in generale lo scottante problema delle pene detentive, da ripensare definendo misure alternative alla reclusione.
«Diventiamo la prima Regione che spinge Governo e Parlamento verso una riflessione rispetto al sistema carcerario», ha esordito Silvana Cremaschi (Pd) snocciolando a beneficio dell’emiciclo gli esorbitanti numeri delle carcerazioni in Italia dove «l’82% dei condannati viene recluso anche se solo il 10% delle persone è ritenuto pericoloso. Il resto potrebbe scontare la pena in modo alternativo e invece la percentuale di chi ne usufruisce è di appena il 5%.
E ancora, il tasso dei suicidi dentro le nostre carceri è del 16% e investe anche chi ci lavora». Le condizioni di detenzione sono degradanti per stessa ammissione della Corte europea dei diritti Umani che nel 2013 ha richiamato ufficialmente l’Italia. «Allora – ha ricordato la democratica – nelle 206 carceri del Paese erano presenti circa 66 mila persone, 19 mila in più rispetto alla capienza. Oggi siamo ancora sopra di 6 mila».
Finite dietro le sbarre in un caso su tre per detenzione o spaccio di sostanze stupefacenti. Poco importa che siano leggere o pesanti. Almeno secondo la legge Fini-Giovanardi che poneva sullo stesso piano, ai fini della sanzione, le diverse sostanze. Poneva, perché nel frattempo è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta riavvolgendo il nastro della normativa fino al Testo Unico del ’90 che ora si chiede di riscrivere. Su input del cartello di associazioni comprendente tra le altre la Società della Ragione e il forum Droghe.
L’obiettivo è depenalizzare l’uso personale di sostanze leggere modificando l’articolo 72 della norma con un nuovo comma in base al quale «l’uso personale non terapeutico delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste dall’articolo 14 non è sanzionabile penalmente né amministrativamente».
E con una serie di previsioni che al carcere, in caso di tossicodipendenza, sostituiscono pene alternative come l’affidamento ai servizi sociali. Il voto alle Camere ieri ha spaccato il centrodestra, incassando il favore di Ncd e Ar, non quello di Forza Italia, Fdi e Lega Nord che anzi si sono sollevati dinnanzi all’emendamento a firma del grillino Andrea Ussai che chiedeva d’inserire nella proposta anche la possibilità di coltivare fino a cinque piante per uso personale, la creazione di club per il consumo nonché monopolio di Stato.
«La lotta alle sostanze non è servita. Dopo 20 anni di guerra il bilancio è fallimentare. Bisogna cambiare strategia. Sono favorevole all’emendamento», ha dichiarato Stefano Pustetto (Sel), il più dissidente dei consiglieri di maggioranza.
Apriti cielo. Nell’emendamento e nelle dichiarazioni del consigliere di Cividale, la leghista Zilli ha letto una dichiarazione d’intenti estesa alla maggioranza: spingere per la legalizzazione.
«Qui si vuole confondere i piani. E si usa il sovraffollamento delle carceri per dire che il consumo delle droghe leggere non va perseguito». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Novelli (Fi). Di diverso avviso, invece, Valter Santarossa (Ar) che al Consiglio ha portato la propria esperienza professionale: «Per i tossicodipendenti il carcere è una cosa tremenda, devastante, che influisce su come li recupereremo. Lo Stato deve intervenire anche garantendo strutture adeguate».
E Alessandro Colautti, capogruppo di Ncd: «Tutto ciò che riguarda il tentativo, lo sforzo delle istituzioni per immaginare pene alternative al carcere lo ritengo positivo».
Al democratico Renzo Liva (Pd) il compito di abbassare i toni e rimettere a fuoco l’argomento: «Rendere più vivibile e meno oppressivo il carcere. Questo è il tema. Il che non significa che non ci siano questioni ulteriori, ma chiedo al M5s di presentarle con un’altra legge».
L’invito è caduto nel vuoto. Ussai ha confermato l’emendamento, che il Consiglio ha respinto approvando invece a maggioranza la legge voto così come proposta da Cremaschi che ha chiosato: «Lo spaccio è reato, non lo mettiamo in discussione.
Chi nelle scuole spaccia ai ragazzini va in carcere, ma differenziamo l’uso personale e verifichiamo la possibilità di applicare su persone tendenzialmente fragili politiche di riduzione del danno, ove possibile, in chiave terapeutico-riabilitativa».
Da il Messaggero Veneto del 19 maggio 2016.
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